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Capitolo 7

RACCONTO:

....Robert era in gioventù un grande appassionato di Basket e l'America era per lui il miraggio. Ogni notizia che arrivasse dal Nuovo Mondo era come un sogno che un giorno si sarebbe potuto realizzare. L'avere, a 25 anni, cominciato a programmare e poi realizzare un viaggio verso quella meta impensabile, era stato per Robert il raggiungimento del primo grande obiettivo della sua vita. E come tale aveva continuato a viverlo per tutti gli anni seguenti. E il racconto comincia.....

".....Per la prima volta ho tenuto un diario completo, giorno per giorno, del viaggio. L'evento era troppo atteso e troppo importante perché potesse passare nella normalità.

Era tutto l'inverno che pensavo di andare finalmente in USA, e per tutto l'inverno avevo continuato a risparmiare soldi per poter realizzare questo mio proponimento. Ma la prospettiva sfumava con il passare dei giorni. Non riuscivo, infatti, a trovare nessuno che volesse condividere con me l'avventura e solo, senza conoscere neanche una parola di inglese, non me la sentivo di partire.

Verso la fine di maggio, il mio amico Daniel si diceva intenzionato ad andare a trovare i suoi parenti in California. Presi la palla al balzo e pronunciai la fatidica frase: "vengo anch'io". La cosa però era ancora abbastanza lontana dal realizzarsi. Infatti Daniel aveva bisogno di ancora un po' di tempo per la sua decisione definitiva. Io ero comunque già galvanizzato e già mi ero messo in moto per studiare la combinazione migliore per il viaggio e la sistemazione.

A inizio giugno Daniel era finalmente completamente deciso e da quel momento abbiamo cominciato a muoverci in coppia.

Il primo problema era quello di scegliere il viaggio più economico e di avere i visti necessari all'ingresso in USA.

Dopo un esame attento delle varie possibilità, la combinazione di viaggio più conveniente risultava essere quella di partire da Londra con biglietto STAND BY, per cui la prima mossa fu quella di acquistare un biglietto (solo andata, per il ritorno ci saremmo arrangiati in qualche maniera) per Londra. I primi posti disponibili erano per il 16 luglio, pertanto questa diventava la data di inizio della nostra avventura.

Fissata la data di partenza e fatto il primo biglietto, ci rimaneva soltanto il problema dei visti sul passaporto. Ci recammo all'ambasciata americana e senza troppi intoppi ottenemmo due visti turistici. ....Tralasciando l'ansia e l'emozione della vigilia, arriviamo al fatidico 16 luglio !!!

Il saluto agli amici fu emozionante: in quel momento noi rappresentavamo gli eroi, coloro che andavano in avanscoperta, a nome di tutti gli altri!! E queste cose, in quel momento specifico e a quell'età, ti fanno sentire importante!!

All'aeroporto il caos era grande. Non so dire quanta gente poteva esserci ai controlli delle persone e dei passaporti per le partenze (a quel tempo non c'era la Eurozona e ci voleva il passaporto anche per recarsi in Gran Bretagna). So che noi, spaesatissimi, prima siamo entrati, abbiamo passato il controllo personale, quindi ci siamo messi in fila per il controllo dei passaporti, abbiamo passato questo blocco e ci siamo ritrovati ...... fuori dall'aeroporto: non riuscivamo a capire bene la situazione,..... ma, con un po' di calma siamo riusciti ad arrivare al posto giusto (il gate). L'attesa della chiamata del nostro volo non fu lunga, tanto è vero che dovetti finire in fretta un panino e sempre per la fretta persi i giornali che avevo appena comprato. Ci siamo imbarcati alle 13,15 h sul volo per Londra che è puntualmente partito alle 13,35 h.

Il volo (il mio primo volo) fu perfetto e abbastanza spettacolare, ma, essendo la prima volta, al decollo passai un momento critico: mi mancava l'aria e non ero completamente calmo!!!

......Scendemmo all'aeroporto di Liuton. In Pulmann, con un "viaggio" di due ore, arrivammo a Victoria Station. Il posto, come d'altronde tutte le stazioni, era molto "brutto" e pericoloso, pieno di facce "assassine" e di sporcizia.

Come prima mossa abbiamo depositato le valigie per togliercene il PESO: una sterlina per due colli. Quindi abbiamo cominciato a girare senza una meta precisa, finché, fuori della stazione , abbiamo visto una agenzia della British Airways. Erano esposti dei cartelli che parlavano dei famosi voli a prezzi stracciati (stand by), ma, non conoscendo l'inglese, non riuscivamo a capire quale fosse il meccanismo per poterli acquistare. Per fortuna gli inglesi, che in generale non mi erano mai troppo piaciuti, hanno l'abitudine di aiutare una persona che a loro giudizio si trova in difficoltà. Fu così che un signore anziano, tra tanta confusione, riuscì a farci capire che in fondo alla via dove ci trovavamo c'era un'altra agenzia sicuramente aperta: ci precipitammo perché volevamo vederci subito chiaro. Mentre ci stavamo avvicinando all' agenzia, scorgemmo un gruppo di persone stese per terra con saccopelo e coperte: abbiamo subito capito l'antifona. Abbiamo perciò cercato di avere il massimo delle informazioni possibili ed è risultato che: occorreva mettersi subito in fila, per tutta la notte, fino all'apertura degli sportelli, che sarebbe stata la mattina alle 6 h.

Essendo i posti stand by, occorreva mettersi appunto in fila e sperare che, al proprio turno, ce ne fossero alcuni disponibili. Si trattava in sostanza di passare la notte, seduti o sdraiati sul marciapiede. Al nostro arrivo la fila era già consistente, e col passare delle ore si era fatta lunghissima: almeno 1000 persone erano ormai allineate. 1000 persone di tutte le razze, che si erano date inconsciamente appuntamento lì a Londra inseguendo il loro sogno o miraggio americano.

Ci stendemmo quindi con i nostri saccopelo per terra e, dopo aver fatto turno per andare a cercare qualcosa da mangiare, affrontammo la nostra seconda notte senza sonno.

Alle 6,00 h in punto aprirono le liste per gli USA. Quando arrivò il nostro turno, i posti per San Francisco (che era la nostra destinazione) erano già stati tutti venduti. Ce n'erano disponibili 10 per Los Angeles ed a noi potevano toccare il quinto ed il sesto. Reputando che Los Angeles o San Francisco fosse la stessa cosa e tenuto conto del fatto che, perso il posto, si sarebbe dovuto provare di nuovo il giorno dopo, decidemmo subito di acquistare quei due disponibili. Alle sette avevamo quindi i nostri biglietti per la California.

Il pullman per l'aeroporto (di Heatrhow questa volta) partiva alle 8,30 h, trovammo così il tempo per fare un piccolo giro a piedi per la City e prenderci la colazione. Alle 9,30 h eravamo all'aeroporto, che ci apparve GRANDIOSO. Ci hanno fatto scendere al terminal 5. Il volo per Los Angeles era previsto per le 11,35 h. Alle 10,45 h ci hanno chiamati e, dopo un rapido controllo, siamo arrivati, alle 11,15 h, sull'aereo: era un DC 10 della New Zealand Air Line. A bordo c'erano circa 300 persone.

Il nostro posto era proprio sull'ala, vicino al finestrino, reparto non fumatori.

La partenza però fu ritardata di circa due ore a causa di uno sciopero improvviso, due ore durante le quali restammo a bordo dove ci servirono uno scarsissimo spuntino.

Poi però il volo fu fantastico, se non si considera la scarsezza del mangiare e la lunghissima durata (11 ore). Durante il volo hanno proiettato il film Saterday Night Fever, film che già stava furoreggiando in tutta Europa (chiaramente il film era in inglese, quindi abbiamo semplicemente "visto le figure").

All'arrivo a Los Angeles erano le 17 h locali, corrispondenti alle 2 h del mattino in Europa: era la terza notte senza sonno. Il 17 luglio fu il giorno più lungo della nostra vita.

Usciti dal terminal dopo i vari controlli della dogana americana, ci ritrovammo immersi nella realtà di una metropoli come Los Angeles senza sapere da che parte dirigerci, muoverci o fare comunque qualcosa; non abbiamo però assolutamente perso la calma. Abbiamo subito pensato di telefonare ai parenti di Daniel per avvisarli del nostro arrivo affinché "ci venissero a prendere": non realizzavamo che tra Los Angeles e San Francisco c'era la California in mezzo!!!!

Al là di questo, non riuscimmo comunque neanche a fare la telefonata: in Usa, appena alzi la cornetta di un telefono pubblico e componi un qualche numero, subito qualcuno comincia a parlarti. Se non conosci l'inglese (o anche se non sai cosa normalmente dicono, perché non lo dicono in un inglese "raffinato", ma in slang) sei finito, è assolutamente impossibile comprendere cosa fare per riuscire a comunicare con qualcuno!!!

Così, tra un'indicazione e l'altra, strappate sbiascicando qualche parola qua e là, dopo circa un'oretta riuscimmo a trovare un pullman che ci avrebbe portati alla stazione dei Grayhound di Los Angeles.....Era questo un posto veramente "terrificante" : brutti ceffi, facce strane, di tutte le razze e di tutti i colori. Era notte, eravamo ormai in balia del caso, persi in Los Angeles, speranzosi di salire il prima possibile sul Grayhound giusto per arrivare alla nostra destinazione finale. Alle 0,30 h locali salimmo sul pullman con destinazione San Josè.

A San Josè arrivammo alle 8 h del mattino; alle 8,15 h c'era già la coincidenza per PALO ALTO, che era la nostra meta. Finalmente alle 9,30 h arrivammo a destinazione!! Riprovammo con il telefono e questa volta, essendo la chiamata diretta e locale, ci andò bene e l'Urania (la Zia di Daniel) rispose al telefono: non poteva credere che eravamo già lì, praticamente sotto casa sua che si trovava a pochi BLOCKS di distanza (come dicono in America).

"Aspettate lì, non vi muovete che vi vengo a prendere immediatamente". Ed infatti, dopo appena cinque minuti, l'Urania era lì davanti a noi, incredula che due ragazzetti erano stati capaci di arrivare, seppur sfiniti, dall'Europa fin sotto casa sua!!

L'emozione di incontrarsi, sia per noi sia per i parenti di Daniel, fu molto grande. Eravamo sconvolti, stanchi, frastornati, increduli: credo che tutte le possibili emozioni in quel momento si accavallassero dentro di noi. Era la sospirata America. C'eravamo, era il sogno che si realizzava. Eravamo disorientati, in balia. L'Urania ci portò subito, prima che a casa sua, dove ci saremmo installati ed avremmo vissuto i successivi 40 giorni di vita americana, a casa della sorella Elvezia che, con il marito Pete, viveva in una delle tante splendide casette che costituiscono la città di Palo Alto. Ognuno aveva la sua casa, con la veranda che sporgeva sull'aiuola ai bordi di un marciapiede che costeggiava la strada principale: erano tante strade ortogonali tra loro che costituivano i blocks degli agglomerati di villette, ognuna con la sua caratteristica, ma comunque simile nell'architettura all'altra. Ogni famiglia aveva il suo cane che viveva in casa e si divertiva in giardino.

Capita che, quando si arriva in un posto dove da sempre si sarebbe voluto essere, in un posto immaginato per tanti anni ed esplorato con la fantasia, di rimanere o delusi o entusiasti: noi eravamo entusiasti, affascinati, frastornati....

Pete e l'Elvezia, coppia un po' stravagante, ci accolsero con mille cure e ci prepararono subito una colazione tipica americana, che ingozzammo, così affamati come eravamo.

Finita la colazione ci portarono finalmente a prendere possesso della nostra stanza a casa dell'Urania. La casa ci sembrò subito grande, accogliente e graziosa, comunque diversa dal nostro standard. Come detto, a Palo Alto ci sono solamente villette indipendenti, ognuna con il suo piccolo giardino sulla strada. Anche quella della Urania era così, con la sua veranda/salotto che dava sul giardino antistante. Quella che ci era sembrata a prima vista una casa grande, era in realtà una semplice villetta americana.

A fianco della porta d'ingresso si trovava un finestrone a tutta parete e l'ingresso era direttamente nella sala, dove si trovava la televisione (sempre accesa). Il pavimento era tutto in moquette, con sopra grandi tappeti. Di fronte al televisore, due poltrone con complicati meccanismi di bilanciamento ed un divano. Dietro al divano un tavolo da pranzo, con sopra due candele: gli americani amavano mangiare a lume di candela.

Aveva una piccola cucina, attrezzatissima, con tutti gli optionals immaginabili e possibili, cose che per noi erano ancora lontane dall'essere immaginate in una casa comune: il frigorifero con a fianco un congelatore con quanto più riserve alimentari possibili; la macchina per fare il gelato; tutta una attrezzatura per fare il caffè all'americana; e chi più ne ha più ne metta......

C'era poi un piccolo bagno, anch'esso sullo standard americano: tappeti dappertutto, con il coperchio della tazza del water ricoperto di stoffa peluche, specchi, doccia....... Poi la camera dell'Urania con un lettone matrimoniale sofficissimo, con sopra una quantità enorme di cuscini...... Infine la "nostra stanza" preparata per l'occasione, con due lettini sommersi da scaffali e librerie. La "nostra stanza" si affacciava sul giardino posteriore, che girava dietro la casa fino al garage. Dietro una staccionata del giardino era situata la cuccia dell'immancabile cane, che a differenza del barboncino fastidioso di Pete, era in questo caso un cagnone (non conosco le razze) tutt'altro che pacifico. Quindi, in mia presenza, si doveva assolutamente chiuderlo nella sua cuccia.

...Il tempo di disfare le valigie e già l'Urania, anziché farci stendere sul letto per farci riposare, ci incalzava per portarci dalla Marietta, sua madre, che viveva in una mobile home insieme con il figlio maschio Ribello. Il posto era a Sunnyville, una cittadina a poche miglia da Palo Alto, verso San Francisco. Per arrivarci, chiaramente in macchina, bisognava lasciare l'Embarcadero road, per immettersi sull'highway per San Francisco. L'avventura era quindi già iniziata: in macchina, per le strade della California, un incrocio di autostrade per noi incredibile ed apparentemente impossibile da capire, in termini di direzioni o indicazioni.

...Le Mobile Home erano delle case su ruote, inconcepibili per noi all'epoca, ma estremamente comuni in USA, soprattutto per gli anziani. Infatti, anziani benestanti, potevano, con la loro casa mobile, eventualmente spostarsi in posti a loro riservati, nelle varie città e Stati americani, per vivere dove più gli aggradasse in quel momento specifico. La Marietta, insieme con Ribello, suo figlio, vivevano quindi in questa casa mobile, "fissata" in un residence esclusivo di Sunnyville. Nel residence potevano muoversi solamente persone di età superiore a 21 anni. Le Mobile Home erano una più bella dell'altra, disposte ognuna con un proprio spazio circostante che permetteva il parcheggio di un'automobile ed un piccolo giardino. C'era poi una casa comune, con libreria, bar, biliardi etc. Poi il centro relax, con piscina Iacuzzi (idromassaggio), campo di basket, di tennis etc. La "casa", che in effetti era quella che noi chiamiamo una roulotte, era perfettamente arredata e completa di ogni optional.

L'Urania, zia di Daniel, era di origine italiana, sposata con un Tedesco e poi rimasta vedova. Viveva quindi sola nella casa sopra descritta. Aveva due figli, Dany e Gary. La Marietta era sua madre e come detto, viveva con il figlio Ribello (fratello della Urania). I due avevano una sorella, Elvetia, sposata con Pete. Danny era il secondogenito di Urania ed era uno "scapestrato", reduce dal Vietnam e contestatore a Berkley, mentre Gary era il figlio più serio e responsabile, agli inizi di una presumibile brillante carriera politica nell'amministrazione di San Josè. Ognuno di loro viveva la propria vita, in città diverse, ma tutti erano costantemente in contatto. Il telefono e la macchina la facevano da padroni: impossibile incontrarsi per caso o passeggiando a piedi...

...Dalla Casa Mobile della Marietta, dopo aver un po' conversato e parlato dei vari parenti di Daniel, l'Urania ci rimise in macchina per rientrare verso casa sua. Ma prima volle farci vedere un posto, che in seguito avremmo scoperto essere chiamato Mall, che a noi è sembrato impressionante. Il Mall americano è l'equivalente del nostro grande magazzino, ma..... Quello che era lo shopping center in Usa era per noi allora qualcosa di innaturale, di fantastico, completamente fuori della nostra cultura. Vedere in un unico agglomerato, cinema, discoteche, bars, negozi, grandi magazzini, ristoranti di vario genere, etc era per noi qualcosa che neanche con la più fervida  fantasia si poteva immaginare...

...Dopo questa breve visita al primo nostro Mall, finalmente l'Urania si diresse verso casa. Dico finalmente perché, pur se entusiasti ed affascinati da questo primo impatto con la realtà americana, eravamo a dir poco stanchi, ed una dormita si rendeva senz'altro necessaria. Arrivati in casa, ci sdraiammo subito sul letto, ma non facemmo in tempo neanche a chiudere un attimo gli occhi che Dany arrivò. Lui era il giovane, stravagante e disordinato, che avrebbe dovuto prendersi cura di noi che eravamo "i giovani". Così ha subito voluto portarci a fare il suo giro. Aveva una BMW cabriolet, macchina rara in America a quel tempo, molto potente e scattante, rispetto al loro standard....

...Assaporammo ancora il clima delle strade della California, su una BMW questa volta, condotta da un "giovane" reduce della guerra del Vietnam..... Verso le 17 h locali rientrammo in casa: per noi erano le 2 h del mattino, quindi la quarta notte senza sonno. A quel punto ci concessero un breve riposo, un paio d'ore, fino alle 19 h, quando arrivarono Ribello con Gary e famiglia per la cena. Siamo rimasti a tavola fino alle 22 h, quando finalmente tutti se ne sono andati ed abbiamo potuto andare veramente a dormire.

Erano passati tre giorni e quattro notti dalla nostra partenza. Tutto era andato bene, eravamo stremati ma felici. Felici di essere in America, felici di essere ospiti graditi e coccolati, pronti ad iniziare quell'avventura di sei settimane che sarebbe comunque rimasta memorabile ed irripetibile.

...Dormimmo per 12 ore consecutive, finché non ci alzammo, ancora frastornati dal fuso orario. La prima colazione era pronta, l'Urania aveva già preparato tutto. Che colazione!!!!.....Ci ritrovammo davanti ogni ben di Dio: uova, pancetta, succo di pompelmo, caffè, latte, dolci..........

...Subito dopo colazione, partimmo in macchina per raggiungere casa di Gary, a San Josè, situata a 14 miglia da Palo Alto, dove arrivammo verso 13 h. Gary aveva una casa bellissima, in uno dei migliori quartieri di San Josè. Molto più grande di quella dell'Urania, con in giardino un gazebo ed una splendida piscina. Passammo il pomeriggio prendendo il sole ai bordi della piscina, facendo tuffi in acqua, giochi e nuotate, il tutto condito da frutta a volontà e bibite al cocco: ci sembrava, piuttosto che in America, di essere piombati nel paradiso terrestre.

Alle 19 h, Gary tornò dal lavoro: tutto era già pronto per la cena. Sotto il gazebo, seduti ad una tavola imbandita, ricoperta di ogni ben di Dio, consumammo una cena favolosa mentre la sera si stava impossessando del giorno trascorso nel relax e nell'ozio più assoluti.

Erano due giorni che eravamo lì, nell'area di San Francisco, quella che veniva chiamata la Silicon Valley. Prima di partire non potevamo neanche immaginare che cosa in realtà fosse. Ora che c'eravamo, il nostro stato d'animo era tra l'incredulo e lo stupefatto. Due giorni di tempo stupendo, cielo azzurro incontaminato, clima caldo, ma reso sopportabile e mite dal vento fresco dell'oceano pacifico. La notte poi era deliziosa, limpida e stellata, fresca e riposante: che cosa chiedere di più!!!!

...Le giornate correvano ad un ritmo travolgente. Non c'era sosta, non c'era un attimo di respiro: dovevano assolutamente farci vedere tutto, niente poteva mancare. Cose favolose, quelle che da noi erano le più sofisticate ed irraggiungibili: da andar via di testa per ragazzi della nostra età cresciuti nel mito dell'America....

...E il tempo continuava ad essere sempre uguale: semplicemente fantastico!!!.

...Una sera, dopo una cena dalla Marietta, Daniel ed io andammo in piscina dove incontrammo un italo-americano che ci parlò della sua visione dell'Italia a quel tempo. Pensava che gli italiani fossero ancora nelle condizioni in cui si trovavano quando loro partirono, cioè nella miseria più nera, senza niente da mangiare, senza strade, senza macchine ed in mano ai comunisti....lui si sentiva realizzato e Americano... l'americano è fondamentalmente simpatico... ed in effetti questo loro "essere avanti" era un dato di fatto inconfutabile. A prescindere dalla bontà o meno del loro sistema, o del sistema capitalistico in generale, io credevo che loro fossero effettivamente almeno 10 anni più avanti di noi.

....All'epoca, relativamente al loro sistema di vita, pensavo che, benché potesse essere fin che si volesse criticabile, almeno per quanto potessi constatare, metteva tutte le persone nella condizione di stare bene o molto bene, e tutte le persone erano fondamentalmente soddisfatte del tipo di vita che conducevano e del tipo di sistema a cui erano assoggettate. Per cui tutti i discorsi sul sistema capitalistico alienante, che distrugge la personalità etc, etc, pur rimanendo in parte vero, veniva per me ridimensionato. Forse vissi una realtà particolare della vita americana, ma anche i giovani, che tra l'altro iniziarono là (in contemporanea con i moti studenteschi parigini) le lotte studentesche del '68 e tutto il movimento di rivoluzione giovanile nel mondo, non avevano in fondo di che lamentarsi.

Chiaramente tutto era già allora in mano alle multinazionali che, nonostante il sistema tributario americano praticamente perfetto, erano forse le uniche che riuscivano ad evadere le tasse e che in sostanza detenevano il potere, sia economico che politico. Tutto questo non era giusto per il cittadino americano che lo sapeva e lo combatteva. Negli Stati Uniti però, praticamente, la politica "di strada" non esisteva (e tuttora non esiste). Il concetto di fondo era che ognuno dovesse avere delle opportunità ed in generale ognuno le aveva. Però, da parte dell'uomo comune non veniva accettata la sudditanza alle multinazionali, cioè a chi credeva, in quanto detentore di tantissimi capitali, di detenere anche il potere assoluto. Il concetto principale rimaneva comunque il fatto che sostanzialmente tutti vivevano "bene". Ricordo che un Persiano, appena diplomato al college di S. José e con il quale parlammo un giorno all'aeroporto di S. Francisco, faceva un paragone tra gli USA ed il suo paese, capitalistico per eccellenza all'epoca, sintetizzando abbastanza bene la situazione. Diceva: in USA c'è il ghetto, con i poveri, che possono essere il 10%; un altro 10% sono i super ricchi, così che l'80% ha una vita più che buona. Invece in Persia (oggi IRAN) il 10% è ricchissimo, mentre il 90% è nel ghetto*.

* Tutto questo oggi andrebbe rivisto e avremo modo di parlarne più approfonditamente, ma quella volta così ragionavo e questi erano i riscontri di strada che si potevano trovare.

...Un altro giorno facemmo una scappata alla Stanford University. Questa è ancora oggi la migliore e più esclusiva università americana, nella quale si trovano i migliori studenti di college e ragazzi di ogni nazionalità, di famiglie famose e benestanti. La Stanford University era ed è particolarmente importante per le sue ricerche nel campo della medicina e dell'elettronica. Sicuramente i migliori cervelli americani escono da questi studi. Essere iscritti a Stanford voleva dire essere molto ricchi. Il costo per frequentare si aggirava allora sui 1000 $ al mese.

All'interno della cittadella universitaria c'era uno dei Mall più esclusivi di tutta la zona di Palo Alto. Nel Mall faceva spicco il grande magazzino della Macy's, la migliore e più esclusiva catena di grandi magazzini d'America che aveva un numero limitato di negozi, solamente nei più importanti posti della nazione. Ci perdemmo per più di un'ora nel Mall sognando di poter comprare tutto quanto a portata di mano: tutto era per noi così "bello" e diverso da come eravamo abituati a vedere la merce in esposizione, o le merci così diverse e "strane", introvabili in Europa.

...Poi un giorno salimmo sulla vecchia Wolkswagen di Ribello per "correre" verso il mare, destinazione Half Moon Bay, LA BAIA. Dopo aver imboccato la 401 verso S. Francisco, deviammo per Half Moon Bay dove si arrivava dopo aver superato le colline che scendevano a picco sul mare e lo separavano dalla piana della Silicon Valley. Man mano che ci si avvicinava al mare il paesaggio si faceva sempre più affascinante. La giornata, che era stupenda come al solito da quando eravamo arrivati, sembrava incupirsi ed il sole sembrava scomparire, ma era invece il vapore dell'oceano che creava quella condensa di nubi che rendevano il clima ancora più piacevole e suggestivo.

Dopo una serie di curve su una strada comunque a traffico scorrevole e molto panoramica, finalmente vedemmo l'oceano Pacifico, una massa sterminata di acqua azzurra che si muoveva da terra all'infinito. Half Moon Bay è semplicemente un porto di pescatori. Quando il sole va verso il tramonto, nel tardo pomeriggio, si assiste al rientro dei pescherecci che ritornano con il loro carico di pesci. Per noi, vedere dei tonni dalle dimensioni enormi essere scaricati a decine era sicuramente un'esperienza unica. Neanche sapevamo per la verità come fosse fatto un tonno: questo pesce nero, a mezza luna, dal peso di almeno 10 chili, chi poteva immaginarlo se quello che avevamo conosciuto fino a quel momento era solo un tonno in scatola?

Essere lì in quella baia, fuori dai comuni luoghi di confusione, con il sole che scendeva sul mare, in mezzo ai pescatori contenti della loro giornata, con la distesa dell'Oceano particolarmente tranquillo e blu, dava una sensazione di gioia e di pace che poche volte si può provare.

...Una mattina, dopo una colazione fuori casa, l'Urania ci portò in macchina a casa di Dany, sulle colline di Santa Cruz , che è tutt'oggi la città dei giovani e allora degli hippies. Dany, anche se all'apparenza poteva non sembrarlo, era uno di loro. La sua casa era in collina, immersa nel verde. Appena ci trovammo davanti, restammo increduli, non pensavamo potessero esserci veramente case così, come quelle che eravamo abituati a vedere nei films western. Molto vecchia, con delle tende per porte, tante stanze, ognuna con un disordine unico. L'Urania era contenta di vedere suo figlio, al quale voleva un gran bene, anche se non condivideva il suo modo di vivere da scapestrato. Però non mancava occasione per difenderlo, anche quando Dany ha acceso una sigaretta dicendo che si trattava di tabacco della California, che lui coltivava in piantine che teneva sul tetto della casa. Ma, per loro, almeno per ragazzi come Dany, era cosa normalissima fumare Marujana. Anzi, visto che ne produceva in abbondanza là sul tetto, quella che gli rimaneva la condivideva con gli amici.....

...Una domenica ci fu la gita a San Francisco:

S. Francisco è forse veramente la più bella città del mondo. Il tempo era stranissimo, da un chilometro all'altro c'erano grandi sbalzi di temperatura e di nuvolosità. La mattina presto per esempio il Golden Gate Bridge era invisibile per la nebbia. L'entrata in S. Francisco fu fantastica. Ci ritrovammo immersi nei grattacieli. Era quella l'America che tutti si immaginavano: intreccio di strade ed altissimi palazzi sviluppati verso il cielo. Fu una cosa indescrivibile: un'emozione fortissima che si può provare soltanto vivendola. Dal centro con i grattacieli cominciammo a girare tutta la città, passando su dei ponti magnifici. Il Bay Bridge, che collega S. Francisco a Auckland, è forse ancora più bello del Golden Gate: c'erano cinque corsie per le macchine in un verso e cinque nel verso opposto, ma una sopra l'altra. In città le strade erano tutte saliscendi, con salite ripidissime. I panorama erano meravigliosi. La prima tappa la facemmo alla Lombard Street, la strada più tortuosa del mondo. Quindi andammo a Berkley dove si trova la famosa Università di Stato. Di gente non ce n'era tanta per via delle vacanze, ma se tutte le Università fossero state così anche in Europa sarebbe stato un sogno studiarci!!. A Berkley rimanemmo pochissimo mentre (ce ne saremmo accorti più tardi) sarebbe valsa la pena fermarsi un po' di più.

...Da Berkley tornammo in centro a San Francisco e salimmo su una torre dalla quale era possibile ammirare tutta la città e la sua baia. Quindi andammo a mangiare in un ristorante italiano. Dopo pranzo girammo un po' per il porto, per tornare poi verso il Golden Gate Bridge che finalmente si poteva vedere, essendosi alzata la nebbia. Anche questa fu una cosa fantastica. Il ponte era maestoso, il panorama non gli era da meno. Dal Golden Gate tornammo di nuovo in centro e visitammo Cinatown e Brodway. Passammo poi all'Embarcadero e visitammo lo store dei Ghirardello...prima di tornare a casa stremati e felici.......

...Il racconto, la cena, un mezzo pisolino e l'aereo ha cominciato la sua discesa su New York,,,,,

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