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23 - ISRAELE 1984-1987

I miei ricordi mi portano alla fiera di Milano dell'84, quando mi si presentò per la prima volta Eitan Tuval, il Colonnello!!!

Avevo già avuto rapporti con degli Arabi (Emirati e anche con alcuni libici per delle trattative di acquisto mobili), ma ancora non avevo conosciuto Ebrei nel business.

Ho sempre avuto interesse per la storia delle religioni e sempre sono stato attratto dalla Terra Santa: Betlemme, Gerusalemme, tutto quanto legato alla evoluzione del pensiero umano relazionato alla religione ha avuto un posto importante nel mio intendere la vita e il mondo. Da tempo avevo interesse a sapere qualcosa di più su quei posti mitici.....e l'incontro con Tuval mi apriva una qualche possibilità per recarmi laggiù e vivere una nuova esperienza, che da sempre avrei voluto fare.

In fiera non si può andare oltre qualche battuta e piccola conversazione, ma ebbi subito il feeling che con Eitan si sarebbe potuto fare qualcosa di interessante. Fu così che ci mettemmo d'accordo per una visita in loco da organizzarsi nel mese di luglio.

Israele è da sempre in guerra, tutti i giorni si sentiva parlare di attentati, sparatorie, terrorismo.....e a distanza di 35 anni le cose non sono cambiate di molto, da questo punto di vista. Partire per Israele era quindi come andare in guerra in un certo senso. Ricordo che quando ne parlai ai titolari della RBO, la loro reazione fu poco convinta sul fatto che dovessi partire. Però poi, direi come sempre, fui io a decidere e mi organizzai per la partenza.

Arrivai all'Aeroporto Ben Gurion, c'era ancora il vecchio aeroporto e i controlli erano severissimi: ci misi 2 ore per uscire e trovare Eitan che mi stava aspettando in macchina. Mi portò subito all'Hotel DAN, che si trovava (e si trova ancora) su una specie di lungomare di Tel Aviv. Di lì si poteva andare a piedi al porto di Jaffa, dove si poteva mangiare del buon pesce appena pescato. I ricordi sono sfumati, ma ripensandoci sento dentro un che di perturbante, come sempre quanto parlo di quei posti.

Eitan all'epoca era un Riservista. Era stato nell'esercito per diversi anni ed era arrivato al ruolo di Colonnello. Poi, come tutti in Israele, doveva essere a disposizione per essere richiamato e una volta all'anno doveva lasciare il lavoro per alcune settimane per presentarsi a dei corsi di aggiornamento.

Già da quella prima visita Eitan cominciò a spiegarmi i segreti militari, nel senso che mi parlava di armi, di strategie, di azioni di guerra....e mano a mano che ci spostavamo in macchina per strade dissestate e territori arabi, mi spiegava il perché del loro essere sempre pronti, del senso di frustrazione che si viveva giorno per giorno in Israele con la paura di essere attaccati su un autobus, per strada, senza un motivo plausibile.

La prima volta, come sempre, è quella che ti colpisce di più di un paese. Dopo quel primo giro di perlustrazione, ci sono ritornato, in Israele, tantissime altre volte ed ogni volta per me è stata una emozione. Delle tante volte che sono stato là, non ho però mai avuto modo di andare a Gerusalemme, e questa è una mancanza che devo assolutamente colmare negli anni a venire.

Nel corso di 35 anni l'amicizia con Eitan si è rafforzata e ora che siamo entrambi a fine carriera, vorrei eventualmente che ci rivedessimo più per piacere che per lavoro.

In tutti i viaggi fatti laggiù nel corso degli anni sempre sono successe cose divertenti, strane, da raccontare: lascio solo alcuni flashes su qualche episodio che più mi è rimasto impresso nella mente.

Intanto il primo viaggio. Erano, come detto, i primi anni ottanta e in Israele erano ancora in piena evoluzione i Kibbutz.

Erano delle comunità che si autogestivano, delle piccole città/stato nelle quali vigeva un sistema comunista. I Kibbutz si erano creati dopo la guerra, quando migliaia di ebrei arrivavano nel nuovo stato di Israele di ritorno, o in cerca delle Terra Promessa, da i più svariati paesi del mondo (prevalentemente dalla Russia e paesi limitrofi).

Da Wikipedia:

Il kibbutz (in ebraico: קִבּוּץ?) è una forma associativa volontaria di lavoratori dello stato di Israele, basata su regole rigidamente egualitarie e sul concetto di proprietà comune.

Il kibbutz è nato come ideale di eguaglianza, di lavoro a favore della comunità; questo comporta, per ogni singolo individuo appartenente al kibbutz, chiamato קִבּוּצְנִיק kibbutznik, l'obbligatorietà di lavorare per tutti gli altri; ricevendo in cambio, al posto di denaro, solo i frutti del lavoro comune, evitando così alla collettività di cadere nelle mani di quello che viene considerato il consumismo di stampo occidentale.

Nel 2010 c'erano in Israele 270 kibbutz. Le loro fabbriche e le loro aziende agricole arrivavano a costituire il 9% del prodotto industriale (8 miliardi di dollari) e il 40% del prodotto agricolo (oltre 1,7 miliardi di dollari).

L'associazionismo in forma di kibbutz risale all'inizio del XX secolo con la fondazione di Degania a sud del lago di Tiberiade, avvenuta nel 1909.

Il kibbutz è stato uno degli elementi fondamentali nello sviluppo di Israele, sia per la forte carica ideologica socialista sia per il fattore innovativo che portava in un'area in cui l'agricoltura era a puri livelli di sussistenza.

Dopo la fondazione dello stato, i kibbutz (il plurale in ebraico è קִבּוּצִים, kibbutzim) israeliani hanno conosciuto un periodo di declino, dovuto sia a compromessi ideologici, quali la necessità di impiegare lavoro salariato esterno, sia alla concorrenza delle imprese a carattere privato, sia infine a una cattiva gestione in periodi di crisi economica.

Se inizialmente i kibbutz si occupavano solo di attività agricole, negli ultimi anni[non chiaro] sono stati sviluppati anche progetti manifatturieri, lavorazioni di materie plastiche e di elettronica.[1]

La direzione del kibbutz è formata da un numero ristretto di persone, e le decisioni vengono prese nell'assemblea generale. L'ordinamento interno riguardante l'educazione dei bambini era fino a non molti anni fa piuttosto ferreo, in quanto non potevano nemmeno vivere assieme alla famiglia.

....e le mie prime esperienze furono proprio nei Kibbutz (Hazorea, Shomrat, Hamadia, etc): per noi che venivamo da un posto in piena crescita economica e dove ognuno si sentiva invincibile con le sue idee e proposte, sotto la spinta del miraggio americano (eravamo in pieno edonismo reaganiano), era una esperienza notevole. Si entrava praticamente in un altro mondo, con gente piuttosto umile, con una idea di integrazione e partecipazione che per noi erano utopia. Fondamentalmente il Kibbutz è tutt'ora una utopia e la loro influenza nel sistema produttivo israeliano ha perso oggi molta della sua importanza.

Nei Kibbutz si potevano trovare molti giovani, prevalentemente americani, ma anche molti europei, che chiedevano ospitalità per entrare a fare parte della comunità aiutando, anche per periodi lunghi, nei lavori più disparati.

I kibbutz erano piuttosto rivolti alla agricoltura, ma in quegli anni stavano anche investendo in macchinari e sistemi produttivi......e quelli che Eitan mi fece visitare erano tutti rivolti alla produzione di mobili.

Ricordo ancora i tantissimi soldati (uomini e donne in divisa, per noi era estremamente strano vedere una donna soldato) lungo le strade a fare autostop, ed era consuetudine per tutti fermarsi e concedere un passaggio: era la solidarietà e lo spirito di Stato in Guerra che si viveva e si respirava in ogni dove. Fu così che Eitan un pomeriggio, mentre tornavamo verso l'hotel, si fermò per dare un passaggio a un giovane militare. Io ero seduto sul sedile anteriore, lui si mise su quello posteriore, alle mie spalle, e mi ritrovai con un fucile, sicuramente carico, puntato praticamente all'altezza della mia testa!

Nelle lunghe ore in macchina, Eitan mi spiegava varie tecniche di difesa, mi spiegava le motivazioni che spingevano Israele a comportarsi in una certa maniera, mi parlava di esercitazioni militari e di alcuni scontri realmente avvenuti.

....poi Betlemme, le alture del Golan, il Lago di Tiberiade ("sai perché Gesù camminava sull'acqua?" Mi fa Eitan, "perché in alcuni punti l'acqua è alta 10 centimetri....").....e poi passare attraverso paesi di arabi, territori occupati, e il porto di Jaffa.....

Dopo la prima visita esplorativa ottenemmo ottimi risultati in termini di ordini: tanta movimentazione di carico e scarico su macchine prevalentemente tedesche (Homag e Ima). Questo mi portò ad effettuare tanti altri viaggi concentrati negli ultimi anni ottanta. Nell'ottobre dell'85 ero là a chiudere un bel ordine presso il Kibbutz Shomrat, una linea completa di squadra bordatura e una linea completa di carico e scarico della Biesse, e sempre ricorderò la trattativa serrata con Mr. Eitan Shapiro (capo della parte industriale del Kibbutz) e la cena in una sala riservata , dedicata alla celebrazione dell'ordine.....

In quel periodo c'era stato il dirottamento della nave da crociera Achille Lauro e uno dei passeggeri, un Ebreo Americano, era stato ucciso. Il dirottamento era stato condotto da terroristi palestinesi guidati da Abu Abbas.

Da Wikipedia:

Il 7 ottobre 1985, mentre compiva una crociera nel Mediterraneo, al largo delle coste egiziane, venne dirottata da un commando di quattro aderenti al Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP): Bassām al-ʿAskar, Aḥmad Maʿrūf al-Asadī, Yūsuf Mājid al-Mulqī e ʿAbd al-Laṭīf Ibrāhīm Faṭāʾir. A bordo erano presenti 201 passeggeri e 344 uomini di equipaggio (78 portoghesi, tutti gli altri italiani)[1]. I quattro terroristi erano partiti da Genova mentre la nave stava per salpare le ancore, ed erano muniti di passaporti ungheresi e greci[1]. All'ora di pranzo i quattro sbucarono sul ponte di comando armati di mitra Kalašnikov sovietici, e intimarono al comandante Gerardo De Rosa di far rotta verso il porto di Tartus, in Siria[1]. Giulio Andreotti, ministro degli esteri, mobilitò l'egiziano Boutros Boutros-Ghali (che assicurò piena collaborazione) e il siriano Hafiz al-Asad, che inizialmente era disposto a consentire l'attracco della nave nel porto di Tartus ma poi rifiutò a causa delle pressioni degli Stati Uniti[1].

La sera stessa 60 incursori italiani del Col Moschin arrivarono alla base militare di Akrotiri, a Cipro, pronti a intervenire, seguendo un piano sviluppato insieme all'UNIS del COMSUBIN, presenti in fase di pianificazione. Si decise però alla fine la via diplomatica.

Dopo frenetiche trattative diplomatiche si giunse, in un primo momento, ad una felice conclusione della vicenda, grazie all'intercessione dell'Egitto, dell'OLP di Arafat (che in quel periodo aveva trasferito il quartier generale dal Libano a Tunisi a causa della guerra del Libano) e dello stesso Abu Abbas (uno dei due negoziatori, proposti da Arafat, insieme a Hani al-Hassan, un consigliere dello stesso Arafat)[2], che convinse i terroristi alla resa in cambio della promessa dell'immunità.

Dopo il divieto di sbarcare in Siria, l'Achille Lauro approdò nelle acque egiziane[1].

Due giorni dopo si scoprì tuttavia che a bordo era stato ucciso un cittadino statunitense, Leon Klinghoffer, ebreo e disabile in sedia a rotelle a causa di un ictus: l'episodio provocò la reazione degli Stati Uniti che volevano l'estradizione dei dirottatori per processarli nel loro Paese[1]. Ad uccidere il passeggero fu il terrorista Yūsuf Mājid al-Mulqī[1].

L'11 ottobre un Boeing 737 egiziano si alzò in volo per portare a Tunisi i membri del commando di dirottatori, assieme allo stesso Abu Abbas, Hani al-Hassan (l'altro mediatore dell'OLP) e ad agenti dei servizi e diplomatici egiziani, secondo gli accordi raggiunti (salvacondotto per i dirottatori e la possibilità di essere trasportati in un altro Stato arabo): mentre era in volo, alcuni caccia statunitensi lo intercettarono costringendolo a dirigersi verso la Naval Air Station Sigonella, in Italia, dove fu autorizzato ad atterrare poco dopo la mezzanotte[1].

L'allora presidente del ConsiglioBettino Craxi si oppose tuttavia all'intervento degli Stati Uniti, chiedendo il rispetto del diritto internazionale e sia i VAM (Vigilanza Aeronautica Militare) che i carabinieri di stanza all'aeroporto si schierarono a difesa dell'aereo contro la Delta Force statunitense che nel frattempo era giunta su due C-141[1]. A questa situazione si aggiunse un altro gruppo di carabinieri, fatti giungere da Catania dal comandante generale dei carabinieri (il generale Riccardo Bisogniero).

A quel punto la questione centrale riguardava Abu Abbas: pur di proteggerlo il governo italiano sembrò disposto a rischiare uno scontro armato con gli Stati Uniti[1]. Craxi disse che la giustizia italiana avrebbe processato i sequestratori e aggiunse che non era possibile indagare su persone ospiti del governo egiziano a bordo di quel Boeing, dal momento che era protetto con l'extraterritorialità[1].

Si trattò della più grave crisi diplomatica del dopoguerra tra l'Italia e gli Stati Uniti, che si risolse cinque ore dopo con la rinuncia degli Stati Uniti ad un attacco all'aereo sul suolo italiano.

I quattro membri del commando terrorista furono presi in consegna dalla polizia e rinchiusi nel carcere di Siracusa e furono in seguito condannati, scontando la pena in Italia. Per il resto della giornata vi furono numerose trattative diplomatiche tra i rappresentanti del governo italiano, di quello egiziano e dell'OLP.

Il governo italiano chiese all'ambasciatore egiziano lo spostamento del Boeing 737 dalla base di Sigonella all'aeroporto di Ciampino per «poter esplorare la possibilità di compiere ulteriori accertamenti»[1]. Craxi spiegò che il Boeing era trasferito a Roma per rispondere all'impegno preso con Reagan di «concedere il tempo necessario» affinché il governo italiano potesse disporre «di elementi o evidenze che dimostrassero [...] il coinvolgimento dei due dirigenti palestinesi nella vicenda»[1]. Alla ripartenza dell'aereo con destinazione Ciampino si unirono al velivolo egiziano un velivolo del SISMI che era nel frattempo giunto con l'ammiraglio Fulvio Martini (che nelle prime ore della crisi era stato costretto a seguire le trattative solo per via telefonica) e a una piccola scorta di due F-104S decollati dalla base di Gioia del Colle e altri due decollati da Grazzanise, voluta dallo stesso Martini. Nel frattempo un F-14 statunitense decollò dalla base di Sigonella senza chiedere l'autorizzazione e senza comunicare il piano di volo, e cercò di rompere la formazione del Boeing e dei velivoli italiani, sostenendo di voler prendere in consegna il velivolo con Abbas a bordo, venendo però respinto dagli F-104 di scorta[2][3].

Una volta giunti a Ciampino, intorno alle 23:00, un secondo aereo statunitense, fingendo un guasto, ottenne l'autorizzazione per un atterraggio di emergenza e si posizionò sulla pista davanti al velivolo egiziano, impedendone un'eventuale ripartenza. Su ordine di Martini al caccia venne allora dato un ultimatum di cinque minuti per liberare la pista, in caso contrario sarebbe stato spinto fuori pista da un Bulldozer: dopo tre minuti il caccia statunitense ridecollò, liberando la pista[2]. Per questo episodio il governo italiano protestò con l'ambasciatore Maxwell M. Rabb[1].

Gli Stati Uniti richiesero nuovamente la consegna di Abu Abbas, in base agli accordi di estradizione esistenti con l'Italia, senza tuttavia portare prove del reale coinvolgimento del negoziatore nel dirottamento. I legali del Ministero di Grazia e Giustizia e gli esperti in diritto internazionale consultati dal governo ritennero comunque non valide le richieste statunitensi[2].

Il Boeing egiziano venne quindi trasferito a Fiumicino, dove Abu Abbas e l'altro mediatore dell'OLP furono fatti salire su un diverso velivolo, un volo di linea di nazionalità jugoslava[4]la cui partenza era stata appositamente ritardata. Solo il giorno successivo, grazie alle informazioni raccolte dai servizi segreti israeliani (che tuttavia non erano state consegnate al SISMI durante la crisi, pur essendo già disponibili), si ottennero alcuni stralci di intercettazioni che potevano legare Abu Abbas al dirottamento. La CIA consegnò solo alcuni giorni dopo (16 ottobre) i testi completi delle intercettazioni, effettuate da mezzi statunitensi, che provavano con certezza le responsabilità di Abu Abbas[2], il quale venne processato e condannato all'ergastolo in contumacia[1].

Secondo le dichiarazioni rese da Omar Ahmad, uno dei membri del commando terroristico, il piano originario dei dirottatori era quello di condurre la nave in un porto militare israeliano, di sparare ai soldati presenti, uccidendone il più possibile, e quindi di fuggire in Libia. La vicenda si svolse invece diversamente, secondo Omar Ahmad, per colpa di Abu Abbas.[senza fonte]

Il ministro della difesa Giovanni Spadolini e altri due ministri repubblicani (Oscar Mammì e Bruno Visentini)[1] presentarono le dimissioni in segno di protesta contro Craxi, provocando una crisi di governo successivamente rientrata[1].

Il governo italiano, guidato da Bettino Craxi, liberò quindi Abu Abbas, che era stato catturato e trattenuto nella base militare di Sigonella, anziché consegnarlo alle autorità americane. Eravamo in una fase geopolitica molto complicata e quella presa di posizione dell'Italia fu interpretata da parte di Israele e degli alleati americani, come un tradimento.

Durante quella cena al Kibbutz io, che normalmente avrei dovuto sorvolare su questi avvenimenti, spinsi invece la conversazione in quella direzione e la serata passò con un contraddittorio politico nel quale mi schieravo contro i miei interlocutori e difendevo l'operato del nostro governo.

Ecco, questo è quello che mi è sempre piaciuto degli Ebrei (almeno quelli non ortodossi): la loro intelligenza aperta e disponibile al contraddittorio!!

Dopo le esperienze di quegli anni, mi ricapitò poi di tornare in Israele nel '96, quindi con una decina di anni già passati.....e già trovai una differenza grandissima nel Paese: Tel Aviv stava sempre più diventando una città Internazionale (Europea), la vita sociale, e vacanziera, si stava spostando verso Herzalya, dove erano già stati edificati molti grandi alberghi e nuove attrezzature su una spiaggia meravigliosa che si affaccia sul mediterraneo.

Eitan si era già trasferito dal suo piccolo ufficio situato anni prima in un quartiere centrale di Tel Aviv , in un nuovo locale molto più moderno. A me, invece, era piaciuto passare un paio di notti in quell'angusto vecchio locale, durante le mie esperienze precedenti, disegnando lay-out a matita su un vecchio Pantografo!!......

.....In volo per Tel Aviv....

......non sono sicuro se faccio bene o male a venire in Israele. Sicuramente non ne ho molta voglia e non so se effettivamente questo viaggio potrà essere ripagato in termini di ordini....però, mano a mano che ci stiamo avvicinando cresce la curiosità di verificare con mano la situazione. Da un mese ormai in Italia le notizie principali sono su quanto accade in Palestina, a Gerusalemme, nei territori occupati. L'immagine, anche se si parla di rivolta circoscritta, è di un paese (Israele) in guerra. Sono sicuro che non ci si accorgerà di niente per le strade di Tel Aviv o presso i clienti che andrò a visitare, ma credo ugualmente che potrò percepire l'umore della gente. Mi piacerebbe poi anche vedere un po' più da vicino quel che succede a Gerusalemme.

L'impressione è che l'aereo sia pieno di pellegrini in viaggio verso la terra santa.

Ho cercato, prima di partire, di informarmi un po' meglio su quanto sta succedendo ed è difficile poter prendere una posizione precisa. Certo, la condanna dell'atteggiamento di Israele è unanime e anche io sono tendenzialmente per condannare. Voglio però cercare di capire anche le ragioni degli Israeliani, il perché ancora non riescono a ragionare in un'ottica di pace anziché di guerra. Spero comunque di trovare tolleranza da parte loro in caso di discussioni che credo inevitabilmente sorgeranno nei prossimi giorni....

....credo che neanche stavolta riuscirò a vedere Gerusalemme!!! Tuval non ha voluto portarmici: ha detto che sarebbe stato rischioso, ci sono incidenti....sostanzialmente non ne aveva voglia...

...come dicevo nelle mie considerazioni durante il viaggio di arrivo, qui, a Tel Aviv, non ci si rende conto minimamente di quanto sta succedendo in altri luoghi dove gli Arabi sono in rivolta. Nei discorsi con la gente emerge solo il fatto che la situazione viene ingigantita dalle televisioni straniere che addirittura, dicono loro, istigano i palestinesi a tirare sassi per poter inviare delle belle riprese....si sente dire che non viene usata la forza, perché si potrebbe fare intervenire l'esercito e placare tutto immediatamente (a modo loro...). Invece vogliono soltanto respingere, senza troppa violenza, le agitazioni...in ogni caso la sensazione qui è che non ci sia alcuna via d'uscita da questa situazione....

Gli Ebrei partono dal presupposto che gli Arabi (in particolare i palestinesi) eliminerebbero tutti loro se appena ne avessero la possibilità. Per contro loro sì che potrebbero eliminare tutti gli Arabi, almeno quelli che più gli danno fastidio, mentre invece, essendo loro più civili, li tollerano dandogli la possibilità di convivere, integrandoli e facendoli crescere anche culturalmente. Devono però fare questo con molta attenzione e con il controllo continuo della situazione perché, non appena gli si desse una piccola possibilità di emergere, questi cercherebbero subito di eliminare tutti gli Ebrei....

L'OLP non è riconosciuta dagli Ebrei perché considerata una organizzazione terroristica. Dicono che come primo punto del loro statuto hanno l'eliminazione fisica di tutti gli Ebrei, quindi non è assolutamente possibile per Israele interfacciarsi con loro.

Nel 1947, quando lo Stato di Israele fu fondato, fu concesso agli arabi residenti nelle zone diventate di Israele, di fare parte di questo nuovo Stato, diventando anche loro Israeliani a tutti gli effetti. Alcuni accettarono, mentre altri (i Palestinesi) si rifiutarono dicendo che quella era la loro terra e che quindi tutti gli Israeliani dovevano essere cacciati (eliminati) quali nemici occupanti. I Palestinesi furono distribuiti, dopo la seconda guerra mondiale, in alcune zone ai confini di Israele (Gaza-Egitto/Cisgiordania-Giordania/Golan-Siria). Per questo il Popolo di Israele, fin dall'inizio della sua esistenza, si è sentito circondato e si è organizzato alla difesa con il motto di mors tua vita mea.

I Palestinesi residenti sui territori arabi non sono mai stati sopportati, neanche dai loro esponenti, anche se Arabi loro stessi, e sono stati usati dagli altri paesi (Siria, Giordania, Egitto) come gente di frontiera, come terroristi e provocatori pronti a dare il via a continui incidenti con Israele, cercando una scusa per attaccare.....fu così che nel 1967 cominciò l'attacco terroristico ad Israele da parte dei Palestinesi, cosa che diede la spinta ai paesi Arabi confinanti (in particolare Siria e Egitto) ad attaccare. Per ultima si unì all'attacco anche la Giordania, nel nome dei Paesi Arabi Uniti contro Israele, per la sua totale eliminazione.

Gli Israeliani però riuscirono a controbattere l'attacco e con la famosa Guerra dei 6 giorni, in 6 giorni appunto, occuparono i territori di Siria, Egitto e Giordania dove erano residenti i Palestinesi. In 20 anni Israele ha allargato i suoi confini con i Territori Occupati dove i Palestinesi rimasti (molti si sono poi rifugiati in Libano) sono sempre stati trattati come cittadini di 2° grado, ai quali non può essere concesso di partecipare alla vita politica di Israele e non gli si può quindi concedere autonomia essendo il loro scopo ultimo, non quello di diventare indipendenti, ma di riconquistare tutte le terre che ritengono loro.

In Libano invece, quanto sta succedendo è ancor meno logico e controllabile. Là si è scatenata una guerra di religione senza senso e senza scopo. Il Libano è una nazione creata dai Francesi dopo la seconda guerra mondiale, è una piccola striscia di terra che doveva essere semplicemente un paradiso economico e sede di traffici internazionali. Là sono stati però ammassati Arabi di diverse estrazioni e religioni. I Cristiani, pur essendo la minoranza, hanno sempre avuto il potere sia amministrativo che, soprattutto, economico e nessuno si era mai ribellato. Il problema è quindi nato quando ognuno dei diversi gruppi religiosi ha preteso di controllare lui il potere. Pertanto il Paese (o meglio Beiruth, che è poi tutto il paese) si è diviso in tanti gruppi autonomi, ognuno con un suo esercito ed esecutivo militare, ed ognuno in guerra con l'altro per la supremazia (Drusi, Mussulmani, Cristiani maroniti, etc...)

I Palestinesi a Beiruth si sono così trovati schiacciati da tutti questi altri Gruppi etnici e quasi annientati, tanto che anche Arafat, che aveva fatto base a Beiruth, ha poi dovuto rifugiarsi in Tunisia.

I Cristiani che, come detto, detenevano il potere assoluto, essendo i più civilizzati, hanno sempre tenuto buoni rapporti con gli Israeliani. Oggi hanno la loro comunità nel Sud del Libano (quindi ai confini di Israele) e collaborano con Israele alla difesa dei loro confini, contro gli attacchi Arabi. Si è istaurata una collaborazione economica e militare....

....arrivato all'ufficio di Tuval ho incontrato un capo Druso, che stava discutendo l'avvio di una nuova fabbrica di mobili nel suo territorio. Era un giornalista, redattore di un giornale della comunità Drusa ed un personaggio importante della comunità stessa, persona che ha accesso al parlamento Israeliano intrattenendo rapporti con vari ministri. I Drusi in Israele sono tra quelli che hanno accettato di fare parte fin dall'inizio del nuovo Stato e si sentono quindi Israeliani a tutti gli effetti. Arrivano dalla Turchia e si sono divisi in varie comunità sparse tra i vari paesi Arabi, in particolare in Siria e, appunto, in Israele. L'atteggiamento di questa persona che ho incontrato nei confronti degli avvenimenti degli ultimi giorni è perfettamente in linea con quello degli Israeliani (Ebrei). Anzi, mi è sembrata ancora più estremista in quanto vorrebbe un attacco più deciso verso i palestinesi che considera grandi nemici, per motivi religiosi. A suo dire, sembra che dietro la rivolta dei Palestinesi ci sia l'istigazione dei Komeinisti, loro nemici assoluti (e nemici di Israele). Inoltre i Drusi rappresentano l'ala dura dell'esercito Israeliano e sono loro in particolare che si stanno affrontando con i Palestinesi nei territori di Gaza. Per questo personaggio non ci sono dubbi sull'origine degli incidenti: una Montatura dei paesi occidentali contro Israele. Mi ha invitato a visitare il suo villaggio. Lo faremo domani.....

....poi qualche esperienza più recente, iniziata nel 2012 con la negoziazione di una nuova fabbrica completa trattata in SCM Engineering...sorvolo su tutte le problematiche che questo ha creato nell'arco di 2-3 anni in SCM e in Stema (a cui avevo fatto chiudere il primo ordine per un importante impianto completo e integrato all'estero). Dico solo che sono stato costretto a diversi altri viaggi in Israele che mi hanno portato a dire:

"Non voglio più occuparmi di business in questo Paese".

Nella mia ultima mail a Eitan ho annunciato la volontà di ritirarmi dagli affari, ma di mantenere la nostra amicizia, magari con una prossima visita, questa volta per vacanza, e andare finalmente insieme a Gerusalemme che, come già detto sopra, in tanti anni non sono ancora riuscito a visitare....

Ho cominciato questo capitolo dedicato a Israele parlando di Paese in guerra: bene, questa situazione di tensione permanente che si è sempre vissuta laggiù, è diventata ora un modo di essere tutti contro tutti in stato permanente. Ogni discussione è diventata una guerra: fare business con questo spirito è per me diventato invece insopportabile.

D'altro lato, quello spirito di Unità Nazionale che riscontravo le prime volte che andavo laggiù, quando il tutti-contro-tutti diventava un UNO SOLO se si trattava di difendere la libertà del Paese, si è negli anni un po' disgregato. I giovani vogliono più apertura e hanno meno voglia di sacrificarsi per i loro ideali. Anche se tutti devono costantemente vivere con la tensione che qualcosa possa accadere da un momento all'altro.....

....quello spirito di Unità l'ho rivissuto invece nuovamente durante la mia ultima trasferta a Tel Aviv quando, con Eitan e figli, siamo andati a vedere il match di Eurolega Maccabi - Barcellona. Il Maccabi E' Israele!! Quella partita la vinsero nettamente, e contro pronostico, dopo una lunga serie di sconfitte e, mano a mano che il divario nel punteggio cresceva, cresceva anche l'intensità dei cori che le più di 10.000 persone che riempivano il palazzetto dello sport, cantavano all'unisono!!! (giusto ancora come parentesi, un altro ricordo va ad un'altra partita di basket, quella volta si chiamava Coppa dei Campioni, alla quale assistetti. C'era la IGNIS di Varese al top del suo splendore, che vinse il match, e mi rimane impresso l'applauso caloroso che fu riservato a Dino Meneghin, considerato un guerriero, uno come loro, sempre nella lotta!!).

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